IL PENSIERO.


"L'individuo è un'entità complessa, più di quanto crediamo."

 

Lavora a molti livelli. C'è quello concettuale, quello delle immagini, quello delle emozioni, quello degli archetipi, e poi ancora altri livelli, più profondi. L'arte è uno strumento di sondaggio, di perforazione, di scavo. Il suo fine è di arrivare a conoscere noi stessi.

E’ Guido Sgaravatti che parla. Parla naturalmente in linea generale ma soprattutto di sé, del suo lavoro di artista. Comincia appunto a replicare – lui uomo di scienza oltre che di arte — a chi chiede all'artista la presunta coerenza di una sigla, di un cliché. Siamo terribilmente complicati; e Sgaravatti lo sa. Lui ha studiato a lungo psicologia del profondo, ha «sondato» le latebre dell'inconscio; e per ampliare il raggio d'azione delle sue esperienze si è tuffato nel mondo della filosofia e delle religioni orientali, soprattutto indiane, arrivando a studiare a fondo il sanscrito per tradurre un testo basilare: gli «yoga-sutra» di Patanjali.

Un artista così - seppur orgogliosamente chiuso nel suo eremo padovano - non poteva ridursi allo schemino di tanti pittori o scultori d'oggi. Né possiamo, noi che vediamo le sue opere, fermarci all'epitelio, percepire soltanto qualche sensazione epidermica. C'è bisogno di capire nel profondo le motivazioni di un'arte che – in modo meraviglioso – si accosta alla scienza, e finisce per dimostrare che entrambe, ad un livello alto, si confondono. L'analisi e l'intuizione sono strumenti per raggiungere, come dice Sgaravatti, «la conoscenza». E questa la meta suprema dell'arte come della scienza.

Lui, Sgaravatti, ha sperimentato tutti i gradi — i livelli - della creatività umana. Abbiamo diviso appositamente in tre capitoli (scultura, pittura, grafica) questa monografia non tanto per distinguere tecniche diverse di esecuzione materiale, quanto per sottolineare come ad ogni livello corrisponda una strumentazione diversa: dalla captazione fenomenica del reale alla sua ricostruzione concettuale e via via fino alla percezione indistinta delle pulsioni organico-psichiche. Sgaravatti alterna i vari livelli in modo continuo e, a suo modo, estremamente coerente: sa essere umilmente realista o impressionista, si ispira al passato dell'arte e guarda all'immaginario fiabesco, manipola l'ambiguità del simbolo e forza la gestualità espressionistica, lavora razionalmente, ma anche in trance, architetta l'immagine e la dissolve, filtra i significati più reconditi e sapientemente li nasconde, si infila nelle tenebre per poi tornare alla luce del sole, riesce ad essere fan. ciullo e adulto allo stesso tempo, cioè riceve e dona, accoglie le esperienze e le rimanda... La sua è la globalità del l'uomo che si manifesta. L'arte diventa ben più che una techne: assume quasi una funzione magica, un rituale di svelamento, come pure un compito maieutico, aiutando a partorire i sogni e, quindi, ad interpretarli. Per tutto ciò occorre da parte nostra, una predisposizione, o comunque un'attenzione paziente, altrimenti l'opera d'arte finisce per scorrere come una bolla d'acqua sulla mano e diventare niente più che una labile sensazione.

Spiega ancora Sgaravatti: L'archetipo è un livello collettivo. Si tratta di estrarlo dal profondo: scavarlo e identificarlo con lo strumento dell'arte, quindi comunicarlo agli altri. Con le incisioni monotipo mi sento di interpretare anche fatti e fatterelli, problemi e problemini quotidiani. Vengo incontro, cioè, all'attualità. E lo faccio con maggior immediatezza. Si capisce a questo punto che Sgaravatti intende la tecnica esecutiva come strumento per raggiungere i suoi fini espressivi che sono diversi ogni volta, tesi ad ottenere effetti e implicazioni (spesso psicologiche e psichiche) diverse.

L'incisione monotipo ha caratteristiche invero autonome. Grazie ad essa l'artista «racconta»: con tono magari svagato e un po' fiabesco, talora ironico, talaltra lievemente (ma assai lievemente) didascalico, denso comunque di implicazioni fantastiche e liriche, con allusioni e riferimenti simbolici, interpretando anche poesie o episodi di cronaca minuta. La superficie screziata, appena rugosa, solcata da continue impronte e sovrapposizioni, diluita in passaggi finissimi di colore, con solchi e segni e scatti apparentemente svagati, maculata e come porosa, sempre mossa, agitata da nervature e macchie, permette all'artista soluzioni svariate e di alta suggestione. Il passaggio recente anche alle grandi dimensioni (70 per 100) amplia il campo di queste meravigliose radiografie della fantasia umana; sono dilatazioni e lievitazioni in piano come in profondità, in cui il rilievo, oltre al segno e al colore, gioca un ruolo fondamentale, di tattili vibrazioni. Le trasparenze e le sovrapposizioni rendono l'immagine ancor più sospesa, magicamente mobile e sfuggente.

È qui che Sgaravatti coglie gli estri e gli umori che gli capitano, quali «improvvisi» musicali. Può essere un testo poetico a dare il la, come la poesia El lovo e l'agnelo del trisavolo Pietro Buratti (un poeta citato ben trentatrè volte da Stendhal) da cui nasce una gustosa immagine fiabesca. Può essere la frase di Lao Tzu: Governare il regno grande è come cuocere i pesciolini e allora il profilo spiritoso del re che cuoce i pesciolini (Se vuoi farli ai ferri non devi girarli e rigirarli, perché se li tormenti si sbrindellano) acquista il tono di un apologo morale: il legislatore dovrebbe fare poche leggi ma molto buone e molto chiare. Può essere una notizia di giornale che parla di delfini arenati che gli ecologi tentano invano di ributtare a mare: occorrerebbe anzitutto (si legge in filigrana) cominciare con il disinquinare il collettivo psichico. Spunti magari lievi, divertenti: immagini di scioltezza allusiva, tutte giocate su un tono lirico, finemente sgranato nella fantasia.

Ma è chiaro che Sgaravatti non può rinunciare, nemmeno in questi fogli, a quello che è il suo tipico scavo nel profondo.

Ad esempio c'è un'incisione monotipo, «Prendre e donnér» (Prendere e dare), che raffigura due donne nude in positure diverse, come di ricevere e di donare. Essa prende lo spunto da un movimento di danza di Béjart che si ispira ad un pensiero tibetano (Ton-len). Spiega l'artista: L’inconscio collettivo è inquinato. Il tibetano ritiene di poter effettuare una bonifica di tale livello attraverso una tecnica di meditazione collegata al respiro. Praticamente con una fase di inspirazione il tibetano si mette a contatto psichico con la negatività del mondo esterno, simbolizzandola con una nuvola nera. Egli visualizza questa nuvola nera fino al «centro» (ciakra) del cuore e poi trasforma il pensiero negativo in pensiero luminoso ... Béjart riprende il motivo con un movimento di danza per cui la ballerina accumula la negatività del mondo e poi si gira (sdoppiandosi nel foglio in due figure) trasformandola in luce ... Troppo difficile? Se si osserva l'incisione monotipo tutto appare chiaro. Dietro l'immagine, nascosto dentro di essa, affiora il pensiero.

Sgaravatti anche nella grafica è così. Le sue meditazioni colte, trasposte nel foglio come nel tessuto di una tecnica raffinata, escono dall'oscurità appena scaviamo sotto l'epitelio suggestivo. Lì c'è il nocciolo di una saggezza antica che ci può illuminare anche sotto la forma della fiaba gentile.

Paolo Rizzi
Novembre 1993

“In una mostra d'arte è usuale presentare opere di scultura, pittura o grafica. Ritengo questa esposizione particolarmente importante per me, perché mi permette di sottoporre all'attenzione del pubblico non solo delle opere d'arte figurativa ma anche un articolato pensiero sul pensiero e questo non è usuale.

Forse esco dal mio ruolo ma "tutto ciò che è umano mi interessa" e cosa c'è di più umano del pensiero?

Quello che presento sui tavoli di questa personale è una visione della vita tratta dallo studio di antichi testi di yoga - in particolare gli Yoga-Sutra di Patanjali - a confronto con deduzioni e problemi colti dalla nostra psicologia occidentale.

-Personalmente mi sento più sintonizzato con le immagini che con le parole. - Ritengo che molte parole servano più a confondere i problemi che a chiarirli. - Chi scrive si mette in cattedra e la cosa non mi si confà.

Preferisco creare delle immagini stimolo, lasciando a chi le vede il compito di rifletterci sopra, libero di accettare o contraddire. - Dialogo volentieri con i bambini e li ritengo più intelligenti di quanto gli adulti non possano credere; sono più aperti all'immagine che alla parola. Ho cercato di rendere accessibile anche a loro un antico, aggiornato pensiero filosofico. - Ho sempre lavorato con strumenti tradizionali per definire le idee che mi balzavano dal cranio e questa volta ho voluto divertirmi con uno strumento moderno come l'immagine digitale, elaborata al computer.

GUIDO SGARAVATTI  commento alla mostra di Lugano, Ottobre 2000 nella quale vennero esposte oltre al opere di pittura sculture e grafica anche le tavole di “Vedere la Mente”.

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